
“Santo che soffri”
“Santo che soffri”
Nel “Santo che soffri” è la “la sede appassionata dell’amore non vano”. Così scriveva Ungaretti nel 1944, durante l’occupazione nazista di Roma. Eppure, occorre aggrapparsi ad uno spiraglio di luce, c’è sempre un richiamo a non arrendersi, a quel qualcosa di più di una semplice illusione per farsi coraggio.
In modo analogo, alla vigilia di questa Pasqua senza sacrificio, la “Crocifissione” di Marcello Pappalardo apre un autentico squarcio di luce nel buio.
Per quanto buio possa sembrare il nostro cuore, quasi da rasentare l’abisso, la luce vibrante, che intesse il corpo di Gesù, è un abbraccio che non si arrende all’incombere, apparentemente trionfante, delle tenebre.
Donata al Museo Interreligioso da Pierangela e Maria Grazia Pappalardo, l’opera ci ricorda che il cuore di Cristo è “la sede appassionata dell’amore non vano” e, intorno a questo cuore, splende una luce, calpestata e franta, che non permetterà mai alle tenebre di avere l’ultima parola sull’uomo.
“[…] Vedo ora nella notte triste, imparo,
So che l’inferno s’apre sulla terra
Su misura di quanto
L’uomo si sottrae, folle,
Alla purezza della Tua passione.
3
Fa piaga nel Tuo cuore
La somma del dolore
Che va spargendo sulla terra l’uomo;
Il tuo cuore è la sede appassionata
Dell’Amore non vano.
Cristo, pensoso, palpito,
Astro incarnato nell’umane tenebre,
Fratello che t’immoli
Perennemente per riedificare
Umanamente l’uomo,
Santo, Santo che soffri,
Maestro e Fratello e Dio che ci sai deboli,
Santo, Santo che soffri
Per liberare dalla morte i morti
E sorreggere noi infelici vivi,
D’un pianto solo mio non piango più,
Ecco, ti chiamo, Santo,
Santo, Santo che soffri.”
G. Ungaretti, Mio fiume anche tu, in Vita d’un uomo.