In nome di io e non di Dio
Nell’articolo La guerra e la risposta del “tu”, pubblicato da Davide Rondoni su Avvenire del 19 agosto, l’autore sottolinea come il conflitto in atto sia una guerra combattuta in nome dell’io e non di Dio. È un errore di prospettiva pensare che la guerra coinvolga concezioni diverse di Dio. Un errore compiuto anche dal dialogo interreligioso, spesso concentrato sugli aspetti comuni nel pensare la divinità. La realtà storica dimostra che, da secoli, Ebrei, Cristiani e Musulmani hanno sempre avuto consapevolezza degli aspetti comuni in merito al modo di pensare Dio, compassionevole e misericordioso.
La posta in gioco in questo conflitto è il modo di pensare l’io, di concepire l’uomo come un essere sottomesso ad un’ideologia totalitaria che sfrutta la religione per la creazione di un nuovo ordine politico e sociale. Il contrario, dunque, di quanto indicato nei testi sacri che mostrano l’io in lotta per la propria libertà contro un potere omologante che ha un solo obiettivo: la sottomissione dell’uomo. Alla diffusione dell’estremismo religioso ha contribuito anche la cultura occidentale, che continua a vedere nell’uomo religioso un essere sottomesso che, coscientemente, ha rinunciato alla ragione e alla libertà. Qui stanno la debolezza dell’io occidentale e uno degli errori della laicità.
Se si volessero leggere i testi sacri solo da un punto di vista storico e laico, Torah, Vangelo e Corano avrebbero da offrire esperienze umane, misurabili e verificabili nella nostra vita, che mettono continuamente in gioco la libertà e il riscatto dell’io, non la sua sottomissione. Le leggende, che hanno dato vita alla figura di Abramo, sono una rivolta alla forma di vita imposta dalle città-stato sumere e babilonesi, dove la vita umana era ridotta esclusivamente alla funzione lavorativa della persona, tanto da non avere nemmeno il bisogno di identificarla con un nome specifico che non fosse quello del proprio mestiere. Abramo scelse di non sottomettersi a tale sistema. La missione di Gesù è uno scontro a viso aperto con le autorità del Tempio che, ergendosi a difesa della fede autentica, avevano dimenticato come la vera fede passi attraverso la dimensione dell’umano e il riconoscimento della dignità dell’uomo, anche nel suo errore. Una fede, che non contempli per l’uomo la possibilità di rialzarsi dal proprio errore, è un estremismo religioso. La predicazione del profeta Mohammad può essere concepita come una lotta contro le norme tribali, che negavano ogni dignità alla persona, se questa non avesse avuto i legami di sangue giusti con le famiglie meccane più influenti.
Andando fino in fondo in questa lettura laica, Dio non è ridotto a semplice comparsa: Dio è la voce più autentica dell’io; è la voce dell’uomo che dichiara, senza infingimenti, la piena coscienza del bene e, in nome di questo bene, la disponibilità a spendere la sua vita a servizio degli altri uomini. Dunque, ha ancora senso parlare di una guerra in nome di Dio?